Esempio di audiogramma circolare studiato da Chiggio negli anni settanta per la notazione degli Oggetti sonori.

 
     
   
 


I componenti del Gruppo NPS al lavoro nel loro studio: Memmo Alfonsi, Ennio Chiggio, Teresa Rampazzi e Serenella Marega; sullo sfondo il tecnico Gianni Meiners.

 
     
   
 


Invito per l’audizione delle opere del gruppo presso la Galleria La Chiocciola di Padova, 1965.

 
     
   
 


Riversamento su CD dei frammenti del nastro originale Ambienti presentato alla XXXIV Biennale d’Arte di Venezia nel 1964

 
     
   
 


Registratore a bobine Telefunken utilizzato in quell’occasione per la diffusione sonora nello spazio del Gruppo Enne.

 
     
     
     
     
     
     
     
     

Laura Zattra
Oltre i 440Hz



Un concetto risulta fondamentale per cogliere la simbiosi tra la ricerca visiva e la ricerca sonora di Ennio Chiggio: è la sua concezione di corpo, artefice o consumatore di arte, un corpo che è “interamente comunicante” con se stesso, con l’ambiente, con gli altri, con il tempo. Se si considera questa apertura, si comprende il suo anelito verso la sintesi delle arti, la sua necessità di dialogo (tra discipline e tra umani), la sua brama di indagine verso il suono e i suoni da analizzare, registrare, fare disfare e riutilizzare.
Tutto inizia con l’incontro-scontro di Chiggio con una serie di brani proposta e impacchettata da Sylvano Bussotti per una mostra-concerto al Teatro Verdi di Padova nel 19611.
Non certo i brani classici a cui era abituata la società cattolico-borghese di Padova, ma una sequela di partiture grafiche in campo aperto di John Cage, Earle Brown, La Monte Young e altri. Partiture che invitavano alla scelta libera di suoni e durate, tutto il contrario del contrappunto e dell’armonia rinascimentale cui Chiggio era abituato; esecuzioni to be held for a long time, in cui l’alea, il tempo “stretchato” e soprattutto – in questa sospensione di controllo – l’interesse appassionato per il suono, obbligavano l’ascoltatore a un approccio sensoriale aperto all’ignoto.
La doccia fredda dell’alea, violenta per un “enne” ipercontrollante, è seguita da un’altra esperienza altrettanto importante.
Chiggio ascolta alla radio dei brani elettronici realizzati allo Studio di Fonologia di Milano e ha l’intuizione: “Usciva[m]o da una stagione che aveva sofferto di tutte le ‘consonanze’, anche delle ‘nuove’.
Non fu facile per i viandanti delle fasce sonore tralasciare e staccarsi dal già udito. Si imponeva un atto fondativo drastico che mettesse alle spalle tutto, e ci mettesse con le spalle al muro (della sintesi)”.
Chiggio si procura un generatore di bassa frequenza, un registratore a bobine, si fa assemblare un mixer rudimentale e inizia a realizzare i primi esperimenti: frequenze registrate, allungate dimezzando la velocità di scorrimento, rimontate.
L’incontro con Teresa Rampazzi nel 1963, che aveva bisogno del mixer, apre la via a una collaborazione che si concentrerà sullo studio del suono: non il suono musicale e vocale, che nel melodramma tutto italiano viene sporcato dall’appariscenza, dalla teatralità, infine dal romanticismo; ma il suono di sintesi fatto con le apparecchiature analogiche.
Suono, corporeità, collaborazione e dialogo diventano le cifre di questa ricerca.
Da un lato, infatti, Chiggio e Rampazzi – e a partire dal 1965, quando si manifesteranno come Gruppo NPS (Nuove Proposte Sonore), anche Serenella Marega e Memo Alfonsi – operano una ricerca sui suoni prodotti con i generatori dello studio (oscillatori, generatori di rumore bianco, generatori di impulsi).
Sono suoni che procedono per blocchi, intere fasce di eventi sovrapposti che si muovono e vengono montati nel tempo.
Non è una ricerca influenzata dall’ipercontrollo del serialismo integrale (come era stata quella di Stockhausen o Evangelisti a Colonia dieci anni prima), bensì una ricerca squisitamente basata sul timbro e sulla densità degli eventi, che montati chiamano oggetti sonori (eventi percepibili “acusticamente in cui sono strutturati un numero ‘discreto’ di tracce semplici lineari o non lineari omogenee, collocate in reciproca posizione per altezza, ritmo e temporalità in cui il fruitore, secondo termine del rapporto comunicativo, ‘intellige’ la struttura”).
Studiano le fasce di sinusoidi, il rumore, i glissandi, i filtri, gli impulsi, ogni volta andando fino in fondo a scoprire il valore semantico di ogni oggetto.
Quella del gruppo NPS (soprattutto nel primo periodo fino al 1968, cioè prima dell’uscita di Chiggio causata proprio dall’allontanamento degli altri da questa visione) è una prassi tecnologico-sonora molto “corporea”, perché richiede l’intervento fisico, manuale, e necessita di una precisa coordinazione tra chi aziona le varie macchine.
Non si tratta, tuttavia, di una musica (si badi, non brani bensì oggetti sonori) che richieda un esecutore, una scena e un pubblico che osserva il tutto e che si lascia distrarre dalla fisicità del performer.
Sono oggetti che una volta creati esistono solamente sul supporto della bobina (oggi si direbbe CD), elemento che sublima l’attenzione per la percezione.
Ma la corporeità del fruitore rientra da un’altra finestra: molti degli eventi creati dall’NPS sono musica ambientale: si pensi allo spazio sonoro creato da Chiggio e Rampazzi per la stanza del Gruppo Enne alla XXXII biennale di Venezia del 1964 (Ambienti 1964) e a Environ (da “environment”) del 1970, fatto da Rampazzi per l’ambiente sonoro che accompagnava la presentazione di un grande divano componibile creato da Chiggio, che poteva far sedere fino a quindici persone.
Percezione, corporeità nella fruizione di uno spazio, e anche in questo caso collaborazione artistica.
Ed ecco che si arriva a toccare la dimensione della creazione collaborativa, una dimensione imprescindibile nella ricerca di Chiggio. Le attività dell’NPS non sarebbero state possibili senza l’atmosfera che si respirava, in nome di un concetto di arte intesa come bene comune, che mette sullo stesso piano gli artefici degli eventi.
Il filo rosso è il dialogo, sviluppato assieme agli altri, anche contro altri, nei fatti e nelle parole.
Chiggio sottolinea: “Questo dialogo che facevamo, non si poteva fare in salotto, bisognava fare la prova, registrare, ascoltare.
C’era un feedback costante tra la maniera di parlare, ragionare, vedere l’oggetto musicale e l’atto di farlo”.
In salotto invece (quello di Teresa), ascoltavano, leggevano, studiavano le partiture, registravano ore e ore di musica dai concerti della radio.
La ricerca ottico-percettiva sviluppata nel Gruppo Enne si riflette nella realizzazione degli audiogrammi, che Chiggio inventa per annotare gli oggetti sonori, e nelle partiture circolari più tarde.
È un caso particolarmente riuscito di notazione della musica elettronica (da accomunare agli esperimenti di Pietro Grossi e Enore Zaffiri), la cui refrattarietà a raggiungere una notazione stabile ed efficace è famosa tra gli addetti ai lavori.
La validità degli audiogrammi ideati e “riempiti” nelle partiture dell’NPS, è stata dimostrata in più di un’occasione dalle ricostruzioni dei brani (qualcuno direbbe “riprese” o “esecuzioni con strumenti moderni”!) che Chiggio ha realizzato con il computer negli ultimi anni, “rifacendo” i brani con la tecnologia digitale.
L’allontanamento con Teresa Rampazzi (che definitivo non fu mai) segna una divergenza di esperienze. Per Chiggio la ricerca sonora arriva a coinvolgere la cinesi corporea e le varie fenomenologie del corpo.
“Il flaneur [dello studio di fonologia] parlò e poi fece silenzio per molti anni, svanendo … nelle supposizioni di una musica ludica”.
La corporeità ora appiana i ruoli dell’artefice e del fruitore dell’opera, e si concretizza negli oggetti sonori materici come il carillon, o gli oscillatori temporizzati (sorta di metronomi che fondono la ricerca cino-sonora con quella visuale-cinetica), che invitano a toccare, a studiare le superfici, a immergersi nell’azione.
Lamine in acciaio, barre e tubi di ottone, tavole e casse in legno, alluminio, sono l’evoluzione delle fasce sonore, fili di sinusoidi, masse di rumore.
A partire dagli anni novanta del secolo scorso i CD Oggetti sonori mostrano un Chiggio che con l’uso del computer riafferma un dialogo con i suoni mai interrotto.
Le apparecchiature analogiche hanno lasciato spazio ai software per la sintesi e l’editing audio.
Ma i punti della ricerca vengono ribaditi: ritorna il concetto di serie, di cellula ripetuta, di accumulazione, in brani che indagano il concetto di pattern di derivazione minimalista, e che chiaramente sviluppano i risultati delle interminabili analisi musicologhe (con Teresa Rampazzi) sulle parti a voci sovrapposte di Perotino, di Gesualdo da Venosa, della scuola di San Marco.
Troviamo anche brani basati sulla ricerca dell’accumulazione ritmica (Non so se…), su sonorità che richiamano il gamelan, la musica popolare orientale (Alice non sense), e titoli evocativi come Landscape o Garden-Zen7. Infine, come in un processo di filtraggio estremo che dal rumore bianco si affila e si affila fino a diventare una sinusoide trasparente, Chiggio arriva a produrre il nulla del CD trasparente, che lo ricongiunge ai suoi primi due amori: il silenzio di cageana memoria e il filtraggio con la tecnologia analogica, questa volta fatto di zeri digitali.


A partire dal 1998, con cadenza annuale, vengono dati alle stampe in maniera di bozza fascicoli in forma di Lectures dal titolo Oggetto Sonoro.
Essi raccolgono i lavori riguardanti l’esperienza musicale di Ennio L. Chiggio e sono diffusi in particolari situazioni come conferenze, lezioni o seminari.
Oggetto sonoro 7 raccoglie parte delle esperienze del Gruppo NPS.

 


Una particolare attenzione è stata posta dal Gruppo NPS alla notazione degli Oggetti sonori e all’attività di registrazione e stesura a stampa del materiale attraverso gli Audiogrammi.