Ennio L. Chiggio con il prototipo del Grande voliere, 2011

 
 
 


Il Grande voliere
in mostra presso la Galleria di arte moderna e contemporanea Santo Ficara, Firenze, in occasione della Mostra Alternanze dinamiche, 2011

 
 
 
   
 
   
 
   
 


Polvere di Cantor
sequenza di fotogrammi
2011, opera digitale cinematica

 
   
   

Ennio L. Chiggio
Continuum vs alternatività



Il termine continuo prevede cardinalità metafisiche, “Continuum Hypothesis” è il termine con cui si definisce il problema, ovvero “una retta di numeri reali”.
Cantor, grande matematico, era convinto della verità dell’ipotesi del continuo, e tentò invano per molti anni di dimostrarla negli insiemi. Essa divenne la prima nella lista dei problemi oggi noti come Problemi di Hilbert che presentò al Congresso Matematico Internazionale di Parigi nel 1900.
La nostra idea intuitiva del continuo è che sia possibile dividere una linea ovunque e che ciascuna divisione sia fatta in un punto; ciò fu espresso in forma precisa da Dedekind nel 1872, in cui precisava un concetto che ho fatto mio nelle Alternanze: data una qualsiasi condizione che separi i punti di una retta in due classi, dividendo così la classe di sinistra da quella di destra, esiste almeno un punto che segna questo taglio, ossia il punto è più a destra tra quelli di sinistra o viceversa.
Esiste quindi un punto dato che è il “limite” di questa serie che si contrappone a tutti gli altri punti dell’altra serie.
Ciò presenta una sottile variazione rispetto alla definizione cantoriana che stabilisce che l’ipotesi del continuo è il numero infinito immediatamente maggiore… e bisogna crederci.
L’ordinamento continuo, da un punto di vista intuitivo, è una linea con variazioni piccole e sempre più piccole di valori; possiamo sostenere che una funzione è continua in un punto dato e per differenza si produce un “intervallo”.
Un uni-verso, un in-finito, qualcosa che si snoda senza soluzione alla continuità, quel senza soluzione come “suol dirsi”, indica l’atto coattivo del ripetere una funzione… Il flusso è procedura che pro-cede! Inesorabile… Di ciò ho sempre viva la presenza, vedremo tra poco come ciò che ho messo alla porta rientri dalla finestra metafisica.
Apparentemente un intervallo si presenta (continuo travestito) come una interruzione, una rottura, uno stacco, una mancanza al continuo, ove si disvela indiscusso il discreto.
Di tutto ciò avevo coscienza verso il 1970, dopo aver concluso le esperienze collettive del Gruppo Enne e la lunga stagione del neo-gestaltismo, con cui avevo esperito e anche esaurito molte possibilità intorno alle interferenze di pattern e moiré, che mi posi la domanda di quale alternativa potesse ancora avvalersi la mia attività.
Essere alterni, externi a una esperienza, essere altro, in fractura costante con ogni segmento “n” posto in precedenza, un n+1 come procedura attuante una progressione, questo era un pensiero sintagmatico che aveva e cercava un risvolto simbolico alle cadute e reinvenzioni del collettivo (Enne 65) che non condividevo.
Frammentando il continuo, in quanto senza esiti, in unità discrete, il già posto in precedenza, permetteva un nuovo ciclo attualizzante. Avevo osservato che i segnali bianco-rossi alternati, tipici della segnaletica urbana e della geodesia indicanti “attenzione”, si ponevano rispetto all’ambiente circostante in maniera artificiale ed estraniante.
L’ambiente veniva interdetto da questo oggetto catalizzante l’attenzione: un allarme sensoriale come i fari, le ciminiere, le torri di controllo.
La prima esperienza fu eseguita su una carta da imballo a righe bianche e rosse, una superficie su cui operai un piccolo slittamento all’allineamento; ciò produceva uno “stallo” percettivo.
Era imperdonabile… l’occhio andava sempre a focalizzarsi proprio su quel segmento, come in attesa di un altro segno riparatore o correttivo.
Da qui le successive ricerche e il solito aiuto della matematica come “Arte esatta”, in cui il calcolo combinatorio, studiato con profondità da Bernoulli, Liebniz e Pascal, sosteneva che un insieme finito di oggetti può essere raggruppato e ordinato in innumerevoli configurazioni.
Ciò diede fondamento alle procedure grafiche in cui presentavo alternanze di tassellature con piastrelle bianche e rosse.
Per prima cosa decidevo la forma poi l’ordinamento in sequenze lineari e le verifiche della tenuta o meno della stessa, singola o ripetitiva; davo infine il via a permutazioni, disposizioni, combinazioni.
Definivo questi oggetti e azioni “elementi del dispositivo”. Solitamente tracciavo un telaio ortogonale con caselle regolari alternate nei due colori, permutavo la prima sequenza, poi la seconda fino a imbattermi in incongruità percettive con nuovi margini sorgenti e cluster cromatici a forte instabilità.
Cercai le regole del “dispositivo” e definii quindi le Alternanze B/R come oggetti procedurali sistematici attivi in sequenze mobili alternanti. Dei bilancieri, nella loro instabilità, divennero un dispositivo capace di equilibri aerei attraverso un’asta con collocate alla estremità sfere o piattelli rossi come contrappesi.
La regolazione dell’equilibrio dinamico avveniva tramite boccole scorrevoli in grado di variare la disposizione e le geometrie dei terminali d’asta.
Nel 1974 posi mano a 12 strutture mobili, che all’inizio avevo raccolto come annotazione di promemoria: furono costruite e rese possibili solo durante l’isolamento collinare nel vicentino ad Arcugnano in cui la presenza di un laboratorio mi permise la costruzione di molti prototipi, alcuni dei quali poi distrussi, prima dell’abbandono di quella amena località (cfr. Insight, n. 22, 2010).
In un periodo successivo, verso la fine degli anni settanta, ho eseguito parecchi disegni e tavole di grande formato con ricerche molteplici intorno ai toroidi circolari o quadrici con tessere alternate degradanti, poste in essere ambiguamente in modo che ai margini si formassero sempre situazioni incongrue non definibili e in cui la percezione della tridimensionalità svanisse (cfr. Insight, n. 1, 1992).
La ricerca sull’Alternanza del bianco e rosso è durata con una certa continuità per quasi un decennio con opere che accusavano di essere rivestite con questa pelle “arlecchino”.
Ciò forniva loro un elemento di contrapposizione, un indicatore di attenzione, un segnale di presenza o avvertimento che possedevano una regolarità antiorganica e antinaturalistica; tale texture veniva collocata o poteva rivestire qualsiasi forma o struttura e veniva attribuita alle cose come “mapping”.
In quel periodo avevo anche trovato alcuni articoli attorno alla Teoria Cantoriana degli insiemi e alla sua “polvere”.
Ci fu una interruzione… Passai un periodo a indagare altri comportamenti artistici come il “movimento ludico”, poi ancora un grande silenzio e altre progettualità di tipo virtuale ed eidomatico.
Le sequenze B/R, in realtà hanno sempre accompagnato in sottofondo tutte le altre mie ricerche, si presentano ancora oggi, dopo la ripresa delle indagini artistico-visive su manufatti, come una scansione geometrica di pseudo oggetti strumentali ottico-tecnici vissuti come elementi di allineamento geodetici del terreno traguardabili con teodoliti o altri strumenti di collimazione.
Li ritengo stimolazioni all’uso di geometrie “superiori” che non necessitano di misurazioni dirette, ma insistono sui rapporti e le proporzioni, sulle relazioni e le simmetrie.
In questo ultimo periodo, che va dal 1990 al 2000 molte problematiche del continuo si sono ripresentate attraverso le teorie dei frattali di Mandelbrot.
La retta, dopo Mandelbrot, si presenta fratta e la sua sequenza di ripetizioni eccita il continuo, proliferando fino al completamento e alla occlusione dello spazio fenomenico.
Devo precisare che un’opera B/R è un modulatore gestaltico scansionatore che agisce per coerenza, vicinanza, destino comune, secondo i temi tipici del cognitivo e del percettivo e diviene un indice progressivo invariante adottando la frattura dell’Esagramma.
Gli Esagrammi sono una “variabile grafica” proveniente dalla cultura orientale e contenuta in un libro di divinazione denominato I-Ching.
Al di là dell’aspetto superficiale ed esoterico di cui il libro è stato fatto oggetto, la parte del calcolo binario che aveva interessato anche Leibniz, è la concettualità in esso contenuta che è stata raccolta in 64 Esagrammi e posta in un contenitore scatolare, disegnate a tempera su cartoncino bianco, dal 1972 al 1992.
Nel presente assumo il Teorema di Gödel, che va fatto proprio e frequentato, e che asserisce con nettezza che in un sistema di assiomi si annidino all’interno affermazioni autoreferenziate di incompletezza.
L’ipotesi del continuum è ugualmente disturbante data la sua indipendenza, ed entra nelle analisi matematiche, topologiche o nelle teorie della misura: congetture importanti, che ora frequento con gli amici alchimatici!

E.L. Chiggio, Continuum vs Alternatività in Alternanze Dinamiche, Santo Ficara Arte Moderna e Contemporanea, Carlo Cambi Editore, Firenze 2011